Gus van Sant parla di Milk

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»•Mr.Ale™
view post Posted on 24/1/2009, 15:05




Image and video hosting by TinyPic Quello di un film dedicato ad Harvey Milk è una specie di sogno che si avvera, per Gus Van Sant. Erano molti anni infatti che il regista di Portland lavorava per realizzarlo. “È stato nel 1991 che ho sentito di un progetto al riguardo che vedeva coinvolto Oliver Stone, e quando lui l’ha abbandonato ho iniziato a lavorarci sopra,” racconta Van Sant, “ma ci è voluto del tempo per trovare la chiave giusta, la sceneggiatura adatta a raccontare questa storia.” Non a caso, forse, Van Sant si presenta all’intervista accompagnato dal giovane sceneggiatore Dustin Lance Black, con il quale divide spesso le risposte alle stesse domande. Che comunque la storia del primo uomo dichiaratamente omosessuale ad ottenere una carica pubblica nella storia degli Stati Uniti fosse importante per Van Sant sia da un punto di vista personale che politico, il regista lo chiarisce subito: “Quando Milk era in vita non sapevo molto di lui. Ai tempi non avevo ancora fatto il mio outing e non m’interessavo molto alla politica o al movimento omosessuale. Ed è stato quando ho saputo che Harvey era stato assassinato che le cose hanno iniziato a cambiate. Ancora di più quando poi, nel 1984, ho visto The Times of Harvey Milk, il documentario su di lui che ha vinto il premio Oscar.”

Il modo ed i toni con i quali Van Sant racconta la storia di Milk possono sembrare quasi insoliti se si pensa a film recenti come Elephant e Paranoid Park, ma anche a lavori in qualche modo “militanti” come Belli e dannati. Pur riuscendo ad essere netto e deciso (persino duro) da un punto di vista etico-politico, Milk è un biopic dalla struttura estremamente tradizionale, che utilizza con intelligenza molte delle retoriche hollywoodiane del genere. “Sì, da un punto di vista formale inizialmente abbiamo tentato qualcosa di più estremo, ma ci siamo accorti che il film così non funzionava,” racconta il regista, “quindi abbiamo deciso di addolcire alcuni elementi, come ad esempio l’esasperato taglio documentaristico che avevamo sperimentato. Abbiamo deciso di essere più semplici: d’altronde la stessa sceneggiatura era formalmente semplice e tradizionale.” “Crescendo negli States vedi numerosissimi film biografici molto tradizionali, che eroizzano il loro protagonista,” gli fa eco Dustin Lance Black, “e allora quello a cui abbiamo pensato è stato che la cosa più rivoluzionaria da fare era realizzare un film di questo genere erotizzando un personaggio gay: una cosa mai accaduta prima.” È ovvio quindi che per Van Sant, in questo caso, le istanze etiche del film fossero più importanti della ricerca formale: “Credo che a volte si possa riuscire ad essere di rottura anche realizzando cose stilisticamente più tradizionali. Io non volevo comunque allontanarmi dalla sceneggiatura, che era scritta in maniera molto lineare e non volevo fare un film alla Derek Jarman.”

A Roma il giorno prima dell’insediamento di Barak Obama alla Casa Bianca, Gus Van Sant non può evitare domande sul rapporto tra Harvey Milk e il nuovo Presidente degli Stati Uniti: “Credo che come Obama, Milk sia stato membro di una minoranza, un uomo che aveva forti opinioni,” commenta al riguardo. “Ovviamente tra loro ci sono moltissime differenze, ma credo che la somiglianza più grande tra loro due stia nello stile e nel taglio che hanno dato alle loro campagne elettorali: in entrambi i casi la parola chiave era ‘speranza’.” “È vero,” commenta Black, “e poi c’è un altro elemento: come Milk, Obama è un politico in grado di unire persone diverse, di riportare alla politica gente che non se era interessata per tanto tempo.” Per descrivere l’approccio politico di Milk (e quello di Obama), Black utilizza l’aggettivo “populist”. Un aggettivo che in americano ha un’accezione positiva che non ha nulla a che vedere con il nostro “populista”. Diffidate quindi di errori di traduzione. Black lo spiega in maniera molto efficace: “La particolarità di politico gay di Harvey è stata quella di non limitarsi a parlare alla sua comunità ma di rivolgersi ad altre categorie e di essere capace di conquistarle. Teneva a mente le esigenze degli omosessuali, ma era sempre in grado di considerare anche il quadro generale della politica.” “Harvey inizialmente era un repubblicano, a lungo non ha avuto il coraggio di fare il suo coming out,” prosegue Van Sant, “ma ha sentito forte la spinta degli anni Sessanta: rifiutava la guerra, le corporation. E quando è andato a San Francisco ed è cambiato, ha sentito ancora più forti quelle influenze dei movimenti. Da qui una serie di posizioni quasi socialiste, soprattutto riguardo la sanità, l’assistenza agli anziani, l’avversare la delocalizzazione del lavoro. Credo anche fosse a favore della legalizzazione della marijuana, ma non ne ha mai fatto un punto forte della sua politica.”

E cosa può dire Van Sant invece riguardo al rapporto con uno Sean Penn straordinario nei panni del protagonista? “Credo che una delle cose interessati per Gus è che Sean è molto diverso da Harvey,” irrompe Black. “Harvey era estremamente divertente, giocoso. E gay. Sono simili invece da un punto di vista politico. Comunque il lavoro che ha fatto è stato straordinario. Sul set, il vero Cleve Jones è rimasto sconvolto nel vedere Sean trasformarsi quasi letteralmente in Harvey. “Sì, caratterialmente sono diversi,” prosegue Van Sant. “Non che Sean non sia un tipo divertente, ma ad un primo impatto è un tipo serio, che quasi intimorisce. Però sa essere molto aperto. Quando siamo andati assieme in uno strip-club di Portland e dei tizi croati seduti vicino a noi lo hanno riconosciuto ha passato un sacco di tempo a parlare con loro. È facile per lui parlare con le persone, perché sente il bisogno di conoscere le cose, di conoscere il mondo e verificare di persona. Come quando è andato a New Orleans dopo Katrina o quando ha visitato il Venezuela.”

Differenze e analogie tra il vero Milk e il suo interprete a parte, quel che rimane dal film è un ritratto appassionato ed appassionante di un uomo e di un politico in grado di superare e far superare le differenze. “Harvey era un politico per tutti,” conclude Van Sant, “e quindi volevo che il mio film fosse per tutti, che parlasse a tutti, non solo ai gay.” Obiettivo che è stato centrato alla perfezione.
 
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